preferisco correre


Alzare lo sguardo

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Sono contenta, le gambe tremano ancora, ho l’esito in mano, digito il numero e chiamo mia mamma. Poi mi blocco, guardo il telefono: no, non posso chiamarla per dirle che l’esame è andato bene, devo alzare lo sguardo questa volta, parlarle da quaggiù e immaginare la sua voce che dice:

– Ah! che bella notizia! Dobbiamo festeggiare. Evviva!

Salgo in auto, chiamo i miei fratelli e guardo verso le montagne. Papà oggi è in cima a una di loro, starà seduto con un panino in mano a godersi il paesaggio. Ci penso, non voglio che si perda la luce di questa giornata, in questo periodo di ombre. Lo chiamerò questa sera.

E intanto è arrivato agosto. Mese di vacanze, di telefonate lontane, di avventure.
Google mi propone di rivivere un giorno. Il giorno è il 20 agosto, anniversario di matrimonio dei miei genitori.

Mi propone quello di due anni fa, la festa del loro 50esimo anno di matrimonio. Una festa intima in montagna come nello stile della mia famiglia. Guardo le foto e vedo che mamma sorride a papà, dopo 50 anni. Sanno ancora ridere insieme.

Mamma andava molto fiera di ogni anno passato con papà. E aveva ragione. 52 anni insieme non sono pochi: uno slalom da affrontare tenendosi per mano, tra difficoltà, imprevisti, progetti da realizzare e tre figli.

Il vuoto che avverto quest’anno è così pesante che non riesco a scegliere una vacanza conciliante con il mio umore. Gli esami di controllo per il melanoma cadono prima delle vacanze e si portano via tutta la mia serenità. Le attese degli esiti mi tolgono energia e entusiasmo. Gli accertamenti per escludere il peggio richiedono ancora pazienza e ottimismo e a me sembra di avere perso entrambi.

Poi arriva l’ultimo esito, dopo un esame di accertamento, è tutto a posto. Bene, si parte.

Quest’anno decidiamo di fare una vacanza in bici, in Francia. Penso che muovermi mi farà bene: è sempre stato così.

Pedaliamo su strade al profumo di lavanda e su sterrati polverosi. Visitiamo borghi della Provenza e città d’arte. È bello spostarsi con la bicicletta, le giornate sembrano più lunghe e raggiungere la meta al termine di una giornata dà molta soddisfazione.

Fatico a gestire la tristezza, catturo qualche momento di serenità lungo le piste ciclabili. Pedalo a tratti veloce per fuggire dai miei pensieri. Mi guardo attorno alla ricerca di emozioni. Cerco qualcosa che mi scuota per sentirmi più leggera. Dopo una settimana di bici, scegliamo di concludere la vacanza a Barcellona. Camminiamo tanto, alzando lo sguardo per non perderci il fascino dei palazzi, le opere di Gaudí. Corriamo la mattina presto tra le strade di una città ancora stordita dal rumore della notte e assaporiamo il gusto del girovagare senza meta.

Muoverci è il nostro modo per distrarci dalle preoccupazioni, per sentirci vivi, per esercitarci alla fatica, per divertirci, per rincorrere i sogni e fuggire temporaneamente dalle nostre paure. È il nostro modo di dialogare con il corpo e con la mente. Muoverci è goderci la vita. Non è per tutti così. Non è per tutti possibile.

Rientriamo a Torino dopo qualche giorno e organizziamo una gita in montagna. Scegliamo una meta bellissima, in Val Maira. La giornata ci regala una luce speciale e più saliamo e più ci sentiamo bene.

– Papà sei molto stanco?
– No, direi che se non aumentate il passo va bene.

Gli ricordo che non è necessario raggiungere la vetta, anzi la nostra idea è stare su un prato a goderci il paesaggio. Camminiamo lungo il sentiero che porta alla vetta, fino a trovarci ai suoi piedi. Si presenta davanti ai nostri occhi come una meraviglia assoluta. Siamo tutti molto colpiti dalla sua bellezza.

– Se mi aspettate andrei in cima con Michi.
– Nessun problema Luca, noi ci fermiamo qua. Abbiamo le gambe stanche dalla corsa e non siamo così convinti di farcela.
– Tu papà?
– Ma forse meglio rimanere giù, anch’io sono stanco.

Bene, penso. Faremo un picnic.

Papà alza lo sguardo verso l’alto, guarda fisso la vetta, è in silenzio. Io lo osservo, noto il suo sguardo curioso e dice:

– Ci vengo anch’io.

Ed è così che vedo salire tre generazioni: Michele, suo padre e suo nonno di 80 anni. Ci ritroviamo alla macchina dopo qualche ora. Luca mi mostra una foto: sono in punta appoggiati alla croce, lui, Michele e papà.

Una vera passione, la montagna. Una passione di famiglia, che si tramanda. Una passione che sembra esorcizzare la tristezza, la malinconica e la paura di non farcela sempre. Una delle passioni di papà. La sua fuga e il suo rifugio. La sua disciplina.

A volte alzo lo sguardo e cerco le montagne. A volte mi basta guardarle per sentirmi meglio. A volte mi lascio ispirare. A volte funziona.