preferisco correre


Un gioco di carichi

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Il nome Regina, come mi chiamano spesso gli amici, nasce esattamente due anni fa, quando vinsi la Corsa da Re sulla distanza di 10 chilometri. Dopo quella corsa, qualche settimana più tardi, successe di tutto e il mio traguardo divenne un’altra cosa. Già in quell’edizione corsi una gara con tanta preoccupazione. Sapevo da pochi giorni che presto sarei entrata in ospedale e la mia vita sarebbe dipesa da un esito positivo o negativo. Pochi dei miei amici ne erano a conoscenza e io corsi per raccogliere le forze da tirar fuori nei mesi successivi. Quando qualcuno urlò che stavo per vincere la gara, sorrisi e feci uno scatto fino al traguardo. Viviana mi abbracciò per prima, sapeva delle mie preoccupazioni, si avvicinò e mi disse: andrà tutto bene. Molti amici  tifarono per me senza saper nulla e io mi sentii coccolata. Perché il tifo non è solo una questione sportiva. È un gesto gentile, uno sguardo, una voce amica che arriva quando ne hai bisogno.

Qualche settimana fa ho deciso di iscrivermi di nuovo alla 10 km, con la consapevolezza che mi sarei emozionata, con la paura che forse non sarebbe stato cosi facile rivivere quella gara che segnò l’inizio di un periodo difficile e faticoso. Decisi di iscrivermi per sfida, volevo avere più coraggio delle mie paure, superare quegli stupidi pensieri legati alla superstizione che ogni tanto prendono posto nella mia testa.
La gara è stata emozionante. Ho lottato fino all’ultimo metro, ma ho perso per una manciata di secondi il titolo di Regina. Non importa! Il tempo finale è stato superiore alle mie aspettative, ho avuto la fortuna di correre una bellissima gara e di correrla dal secondo chilometro con la Regina 2017 sulla distanza di 10 km. Laura, la vincitrice, l’ho conosciuta correndo fianco a fianco, ci siamo superate a vicenda almeno 20 volte, ho provato a prendere un po’ di vantaggio attorno al settimo chilometro, poi ho sentito una contrattura in arrivo e ho rallentato. Laura mi ha superato e mi ha detto

– è quasi finita, andiamo

Abbiamo allungato il passo, lei più di quello che sono riuscita a fare io e siamo arrivate al traguardo. Lì tutte sudate e stanche abbiamo riso sulle nostre tattiche, su come abbiamo gareggiato fino alla fine. Laura mi ha fatto i complimenti, poi è tornata da me e mi ha presentato la mamma. La competizione dura il tempo di una gara. Mi ha detto che avrebbe corso la maratona di Venezia e le ho augurato di raggiungere il suo obiettivo. Domenica ha corso in 3h 01′. Brava Laura!

Al traguardo, quest’anno, mi ha abbracciato Viviana, proprio come due anni fa. Si è avvicinata e mi ha detto: ce l’hai fatta.

Da una settimana ho una brutta contrattura alla gamba che mi impedisce di correre, mi spiace perché sto bene e vorrei approfittarne. Domenica non potendo correre Carlo ed io siamo stati in montagna. Forse con un infortunio avrei dovuto rimanere ferma, ma sono un’irrequieta e ho deciso di fare qualcosa comunque. Siamo stati a camminare in un posto molto bello, sopra il Rifugio Casa Canada. Nel bosco, circondata da mille sfumature di colore dal rosso al giallo, pestando le foglie con gli scarponcini ho ripensato alla settimana e a tutti quelli che mi hanno manifestato affetto e stima. È stata una settimana piena di emozioni, di momenti così intensi da pensare di non riuscire a gestirli, di ricordi difficili e di tanti altri sentimenti sovrapposti.

Spero di aver ringraziato tutti. E mi scuso se ho dimenticato qualcuno. Lo faccio ora.

Lungo il sentiero sono riuscita a rilassarmi con difficoltà. Nonostante il meraviglioso paesaggio, i colori, il sole caldo, io pensavo al mio dolore al muscolo sempre più presente, alle gare compromesse, agli allenamenti persi. Perché poi un po’ è cosi: vorremmo che il benessere durasse il più possibile, anche quando ti è già stato regalato più di quello che ti aspettavi. Mi sono sentita molto infantile, perfezionista e ingorda. Poco grata e un po’ egoista. È solo uno stupido infortunio! Di cosa ti lamenti! Intanto il bosco, molto più saggio di me, ha continuato a abbracciarmi con la sua forza delicata e magica. Forse avrebbe voluto dirmi di smetterla di mettermi al centro, osservare gli alberi centenari piegati dal vento e darmi una calmata. Terminato il sentiero mi sono seduta a terra su uno dei miei prati preferiti, di fronte alle montagne, di fronte al Re di Pietra. Ho osservato per qualche minuto le montagne e poi ho sentito una voce:

– ehilà! hai visto che giornata fantastica!

– Federico, sei tu!

Ho conosciuto Federico in ospedale, dopo il primo intervento, poi ci siamo visti alla consegna dei referti degli istologici, abbiamo ricevuto entrambi un brutto referto e siamo stati operati una seconda volta. Abbiamo più o meno la stessa età. Ci siamo incontrati nuovamente all’Ircss di Candiolo qualche mese più tardi per le terapie. E poi visti prima di qualche tac e di altri esami di controllo. Federico ha un iter simile al mio, lui però è stato operato a una gamba. È ancora in terapia.

– Carla, ti vedo bene!

– si, sto bene, ho anche corso domenica. Sono arrivata seconda

– brava! Io oggi ho arrampicato. Ti presento il mio amico di arrampicata

– piacere, Carla

Federico, si rivolge all’amico:

– Carla è la mia compagna di tumore. Ci siamo divertiti parecchio insieme!

Ride di cuore e dice:

– certo questo sì che è un bel posto! E noi? Quando ci vediamo di nuovo?

– ho la tac il 2 novembre

– peccato! Io la settimana successiva. Non riusciamo a incrociarci

Vedo Federico allontanarsi sorridente e entusiasta della sua giornata, si guarda intorno e cammina saltellando. Sembra un folletto. Se credessi nelle favole penserei che è spuntato dal bosco per ricordarmi di non esagerare con le aspettative, di prendere Carlo per mano e godermi il bello, che è tantissimo. Se gli avessi raccontato dell’infortunio, si sarebbe messo a ridere forte. E forse anch’io con lui, per poi tornare a lamentarmi qualche ora più tardi, sentendomi stupida e noiosa. Ma sono quasi certa che nel ritrovarci nei corridoi dell’ospedale Federico mi avrebbe guardato il muscolo della gamba chiedendomi notizie. Poi avrebbe sorriso ancora una volta augurandomi di tornare a correre presto, chiudendo dietro di sé la porta della sala visite.

Forse è così che funziona. Forse è un gioco di  carichi. La giusta distribuzione è facile quando il peso è così pesante che sappiamo da che parte si trova, diversamente, quasi sempre, per fortuna, invertiamo le parti, le sovrapponiamo, ne aumentiamo il peso o lo neghiamo. Capita di riuscire a fare solo così. Di saper far meglio o peggio, dipende dalle volte. Capita di incontrare folletti fuori dal bosco.