preferisco correre


La corsa campestre

Domenica ho corso lo storico cross della Pellerina.

Ho corso con la felicità nel cuore. Ho cercato di far bene e non posso che essere soddisfatta del risultato raggiunto.

Mi è piaciuto correre sui prati in una bella giornata di sole. Correndo ho sentito la gioia di essere lì, circondata da amici, con una nuova e inaspettata energia.

Ho fatto un giro di ricognizione del percorso, mi sono scaldata con le compagne di gara e ho dato qualche consiglio a nuove amiche ancora poco esperte. L’attesa è stata divertente, come deve essere, e la gara molto emozionante.

Al Parco della Pellerina ho corso il mio primo cross. Avevo da poco concluso la radioterapia per il cancro al seno e decisi di concentrarmi su una specie di ripartenza. Cercai nuovi stimoli e passai in rassegna le cose che amavo di più fare.

Non avevo grandi strategie per tornare in piedi e spesso pensavo alle attività che per me erano un po’ più facili da svolgere, mi dicevo che forse partendo da qualcosa che sapevo già fare avrei ritrovato in poco tempo energia e determinazione.

Pensai alla corsa, praticata da piccola e abbandonata durante i primi anni dell’adolescenza. Mi ricordai delle corse campestri, del freddo, della calzamaglia rossa di lana che mi faceva pungere le gambe, della linea di partenza spesso tracciata con il gesso, dello sparo dato sempre quando ancora non mi sentivo pronta. Non avevo, in realtà un bel ricordo, ma sapevo che quella cosa lì mi riusciva abbastanza facile. Speravo che con lo sport si presentassero occasioni per nuove esperienze e nuovi incontri e poi desideravo un’attività all’aria aperta per godere di lunghi respiri e un po’ di serenità.

Che cosa mi spinse, tre anni fa, a iscrivermi al cross della Pellerina mi sfugge ancora oggi. Avevo appena iniziato a correre, abitavo da poco a Torino e non avevo le scarpe chiodate. Recuperai per l’occasione un vecchio paio di scarpe un po’ troppo lunghe che misi solo quella volta lì (poi me ne comprai un bel paio nuovo che ancora uso) e con molta paura, la mattina della gara, raggiunsi il luogo di partenza cercando di farmi coraggio.

Stava per iniziare un nuovo periodo della mia vita. Mi notò una compagna di squadra e mi invitò a scaldarmi con lei. La seguii passo a passo fino alla partenza. Ero terrorizzata e lei mi prese per mano e mi spiegò tutto quello che c’era da sapere per correre bene la gara. Lì, sulla linea di partenza, mi ricordai di una foto di quando avevo 10 anni e cercai di mettermi nella stessa posizione. Fu una bella sensazione. Mi guardai attorno. La calzamaglia non la indossava più nessuno, trovai ancora una ragazza con un cappello di lana dai colori anni ’80: fu un dettaglio che mi conquistò.

Da quel cross ho iniziato a allenarmi con un gruppo meraviglioso, a partecipare ad altre gare, ad amare la corsa, a considerare la mia squadra una seconda famiglia. Su quel percorso ho corso ancora i campionati italiani, qualche anno fa. Non ero preparata in modo specifico, ma ero curiosa. Ricordo soltanto che l’atmosfera un po’ più istituzionale mi agitò tantissimo e fu ancora una compagna di squadra a farmi ridere durante il riscaldamento. E un amico a convincermi a provare. E Carlo ad accompagnarmi e a darmi forza.

In fondo, successe quello che avevo desiderato: lo sport stava diventando il mio miglior alleato.

Poi succede che la vita torna a metterti alla prova. Un nuovo minaccioso cancro e nuove faticose terapie da affrontare. Tanta paura e tante giornate passate a letto.

Ma a quel cross, in fondo, ho sempre partecipato.

Erano trascorsi pochi mesi dalla brutta notizia ed era la domenica di quella storica gara. Ero a casa, a letto. Aspettavo i risultati dei compagni di squadra. Vidi una foto. Molte amiche runner indossavano una maglietta speciale. Portava una scritta che diceva FORZA CARLA. Corsero il cross con quella maglietta e si presentarono alla partenza con un cartello: “Oggi corriamo per te”, c’era scritto così.

Ieri alla partenza un’amica me lo ha ricordato. Poi c’è stato lo sparo. E ho corso. Corso con il sorriso, corso con le scarpe chiodate giuste, corso con un indimenticabile tifo dei miei compagni di squadra.

Ho corso felice di farlo in mezzo a tante persone che mi hanno aiutata in questi anni difficili e a tanti nuovi amici. Ho corso con la maglietta rossa.

Ho corso di felicità.


il runner dell’autogrill

– Quando ho visto la tua medaglia mi sono venuti i brividi. Grazie per avermi raccontato la gara.

Mi saluta così il ragazzo marocchino dietro la cassa dell’autogrill nei pressi di Ceva. A volte sembra che tutto faccia parte di un progetto più grande, a volte sembra che le coincidenze arrivino non per caso. E così anche i nostri incontri.

Lo scorso weekend Carlo ed io con alcuni amici siamo stati a Nizza per la Prom’ Classic, una storica gara di 10 chilometri sulla Promenade Des Anglais. La gara è una scusa per trascorrere qualche giorno in una località che ci piace molto e che frequentiamo spesso.

A Nizza ho partecipato alla mezza maratona 3 volte. La prima volta ero piuttosto insicura, era la mia seconda mezza, la seconda volta fui felice di migliorare il mio personale, la terza volta con una partecipazione molto simbolica, al termine dei 40 giorni di terapia in ospedale. Faticai molto, ma arrivai con Carlo al traguardo tenendoci per mano e augurandomi che tutto andasse per il meglio.

Quel rettilineo dall’aeroporto fino allo striscione d’arrivo mi sembrò infinito ma anche magico: le bande musicali, il pubblico sul percorso, i palloncini e il mare mi parvero un regalo incredibile. Fu un grande stimolo.

Quest’anno l’umore è molto alto, finalmente fuori da tutte le terapie, libera dai farmaci, corro con gioia e impegno. Con tanta allegria e gratitudine. Mi piace guardarmi attorno osservando i runner francesi di ogni età, i top runner (molto numerosi) e le donne tutte insieme alla griglia di partenza. Attendo lo sparo mescolandomi tra loro.

Il vento è il vero protagonista degli ultimi 5 chilometri. Chilometri durissimi dove con fatica si riesce a stare in piedi. Al traguardo si respira un clima di festa e di soddisfazione. La fatica sparisce, ci si aspetta al traguardo e piano piano le strade di Nizza si riempiono di atleti in calzoncini e magliette colorate.

Arriviamo tardi alla premiazione. Grazie ad un’amica e al suo francese perfetto, vengo chiamata lo stesso sul podio per ricevere la coppa. Indosso la medaglia, tengo stretta la coppa e sorrido agli amici. Proseguiamo la giornata con un bel giro a piedi tra le viuzze di Nizza Vecchia e un pranzo abbondante in un caratteristico bistrot.

Saliamo in auto verso metà pomeriggio. Percorso alternativo fino a Mentone per aggiungere qualche sosta panoramica e poi dritti in autostrada. Ci fermiamo a fare rifornimento poco prima di Ceva.

Entro in autogrill, mi dirigo verso il frigo delle bevande, prendo una bottiglietta d’acqua e vado a pagare.

Il ragazzo dietro il bancone mi guarda e mi chiede:

– Hai corso?

Sì, dico io, ma sono un po’ stupita e gli chiedo come lo ha capito.

– Dalla medaglia.

– Ah già la medaglia!

Non avevo tolto la medaglia. Vergognandomi per quel bizzarro look cerco i soldi per pagare e metto sul bancone le mie monete, guardando verso il basso.

– Quanto?

– Quanto cosa? dico io, sollevando la testa

– Quanto hai fatto? E quanto lunga?

– 10 km, 38:49, sussurro con un po’ di stupore.

– Brava! Anch’io in Marocco correvo.

– Sul serio?

– Sì, 10 km in 31′. Ora qui non ho più tempo, non corro più. Ho provato una volta, dopo due anni e ho fatto 37′, ma non posso correre, mi piacerebbe, ma non posso. Troppo lavoro, pochi soldi.

Rimango di sasso. E mi congratulo.

– È un grandissimo tempo! Sei fortissimo!

Lui si scusa per avermi chiesto della gara e dice:

– Quando sei entrata con la medaglia al collo mi sono venuti i brividi. Mi sono emozionato. Volevo che venissi a pagare per chiedertelo.

Guarda verso il datore di lavoro, gira attorno al bancone e ci accompagna fuori. Torna a guardare la medaglia e dice:

– Brava, fai bene a correre!

Non so cosa dire, lo ringrazio e sorrido. Insisto con lui perché non abbandoni la corsa, lo invito a iscriversi a una società podistica e a riprendere la sua passione. Non gli chiedo il suo nome, mi faccio promettere che già dal giorno dopo faccia il possibile per ricominciare a correre.

Deve rientrare, il bancone è scoperto. Ci salutiamo, mi dice che proverà a correre in settimana e mi ringrazia di nuovo.

Salgo in macchina e mi torna in mente la storia dei brividi e il suo sorriso.

Amico runner, spero tanto di rivederti e di leggere di te e dei tuoi risultati. Non smettere di sognare.