preferisco correre


Da lì a là …

Forza Carla. Sarà come correre una maratona. Dovrai avere pazienza e fare tutto quello che c’è da fare.

Mi dicevano così gli amici per incoraggiarmi a non mollare, un esempio chiaro a tutti, o quasi. Sì, perché io li ascoltavo ma dentro di me rimanevo confusa come prima.

Io non ho mai corso una maratona!

Lo dicevo a me stessa, ma non agli altri: mi pareva un consiglio così giusto che non osavo ammettere la mia inesperienza.

Pazienza, metodo e sacrificio. A volte non basta neppure quello, ma ammetto che quel lungo percorso dal primo esito all’ultimo giorno di terapia è stato conquistato passo dopo passo anche con pazienza, metodo e sacrificio. E poi fortuna. Tanta.

Tra meno di due mesi correrò la mia prima maratona. È capitato un po’ per caso. La partecipazione a un concorso e la mia storia che è piaciuta. Quando ho deciso di iscrivermi alla selezione non avevo minimamente idea di cosa tutto ciò comportasse e forse non l’ho neppure ora. Ma quando la mia storia è stata scelta ho pensato che andava bene così: una maratona non premeditata che avrebbe nuovamente portato scompiglio nella mia vita. Una scelta forse sbagliata, un errore strategico, un cambio di direzione, soprattutto un cambio di passo.

Una mia amica diceva sempre scherzando: ciò che avviene conviene. Fu lei a dirmi un giorno, dopo il primo tumore:

– vedrai che tornerai più consapevole di prima e farai come una ragazza che ho conosciuto da poco che dopo il cancro si è iscritta a una maratona

– Perché una maratona? Dissi io

– Credo perché è una follia, rispose.

E poi rise forte, camminandomi accanto, con quel suo passo sicuro.

Spesso ho sentito parlare di maratona come metafora della vita. Sinceramente, non so, ho qualche dubbio. La maratona come un grosso impegno, una piacevole o noiosa gabbia di allenamenti mi sembra più corretto. La maratona come un faticoso traguardo raggiunto credo di sì. La maratona come una forte emozione pure. La maratona, comunque, non la so raccontare, magari tra qualche mese sì. Forse è davvero tutto questo o forse no.

Quando racconterò la mia maratona, sperando di portarla a termine, vorrei poter parlare di pensieri leggeri, di senso di libertà, di festa, di gratitudine, di emozioni e di sentimenti. Di divertimento.

Prima di ammalarmi pensavo alla maratona come un vero traguardo, poi solo come corsa simbolica. Ora la immagino come una lunga e spero divertente avventura.

Ho deciso di iscrivermi per fare una follia.

Simbolicamente con la corsa vorrei distribuire sui quei chilometri la mia gratitudine verso tutti quelli che mi hanno accompagnato in questo lungo periodo di sofferenza, dare un po’ di forza a chi sente di non averne più e riuscire a abbracciare tutti ad ogni passo. (le mie motivazioni)

No, questa volta non sarà come correre una maratona. Sarà la maratona: un gioco. Semplicemente un gioco.

– Zia, ma quanto è lunga la maratona?

– 42km e 195 metri. Come da Pinerolo a Torino più un pezzo

– TUTTO DI CORSA??

– Sì, se si riesce, sì

Gli occhi azzurri di Federico si fanno più luminosi. Magari pensa ancora alla maratona. Rimane in silenzio. Poi si entusiasma e dice:

– Devi fare ancora un bel pezzo dopo Torino. Il cartello stradale dice 38 km. Non hai finito quando arrivi lì.

La voce seria, divertita e un po’ di sfida mi fa sorridere. E mi risuona nella testa. Penso a tutte le volte che camminando con lui per mano, a un certo punto, di fronte a un rettilineo, mi lascia la mano e partendo per primo urla:

– Da lì a là…. tutto di corsa.

Ecco! Vorrei che fosse così la mia prima maratona.


Ho pianto sul podio

Ho pianto. Sì, questa volta ho pianto davvero sul podio.

– Carla, muoviti, ti stanno cercando per la premiazione!

– Per la premiazione? Quale premiazione?

– Sei la prima donna italiana. Vieni con me, ti stanno aspettando, mi dice Carlotta.

Sono seduta sul marciapiede e mi sto sfilando la maglia, quando la srotolo di nuovo in vita per capire cosa sta succedendo.

– Non è uno scherzo, sei prima!

Penso che non ho avuto il tempo di sistemarmi la tuta, i capelli sembrano quelli di Piperita Patty, l’amica di Charlie Brown, non mi sono neppure cambiata la maglietta, ho il pettorale con soli due spilli, forse puzzo, insomma, non sono sicura di voler andare così, ma la premiazione è già iniziata, per motivi logistici si fa in fretta per poi andare in conferenza stampa e all’anti-doping. Prendo le mie borse, la bottiglietta d’acqua e seguo Carlotta, più lucida di me.

E poi salgo sul podio. Ricevo la coppa e dei fiori bellissimi e suona l’inno di Mameli.

Mi sembra impossibile e invece succede tutto sul serio. Inizia a scendermi qualche lacrima. Nessuno conosce la mia storia a Napoli, non sanno che mi sono ammalata e che è un miracolo che io sia lì, che mai avrei immaginato di poter salire su un podio in una gara internazionale. L’inno sembra durare tantissimo. Forse dovrei star ferma, ma non ci riesco. Non trattengo più le lacrime e libero il pianto. Piango fino alla fine della premiazione. Piango.

Poi i complimenti, l’abbraccio di Carlo dopo la premiazione, l’affetto dei miei amici presenti a Napoli, le foto, i messaggi meravigliosi dei miei compagni di corsa, di tutta la mia squadra, dei miei colleghi, degli amici, la telefonata alla mia famiglia. Poi la pizza e il brindisi. Un paio d’ore di stordimento completo. E ancora una passeggiata con Carlo sul lungomare, al sole, con lo sguardo rivolto al Vesuvio.

E dire che non ero sicura di correre. Come spesso accade quando ci si allena, un muscolo della gamba si era contratto a inizio settimana, sapevo che non era nulla di importante ma ero piuttosto insicura sul risultato finale. Anche un po’ dispiaciuta. Poi durante la gara, ho smesso di pensare alla gamba, sentivo male ma non troppo e ho deciso di provare a correre bene. Ero rilassata, senza obiettivi, ho avuto dei buoni compagni di corsa che mi hanno incoraggiata per tutto il percorso, un runner vestito di verde che non ha smesso di sostenermi e ricordarmi che eravamo lì per goderci la gara. Non sapeva nulla della mia storia, ma sembrava conoscermi da sempre. Correndo lungo il golfo di Napoli mi sono sentita fortunata, tanto, e in piazza del Plebiscito ho anche sentito la voce di un’amica d’infanzia, la mia amica Ines, con la quale da piccola facevo atletica. Ho girato la testa verso quella voce e le ho sorriso. Che sorpresa anche quella!

Nel pomeriggio ho ripensato tante volte a quello che era successo. Mi sono seduta su una panchina di fronte al mare. Mai avrei immaginato di ritrovarmi su un podio di una corsa internazionale. Non lo immaginavo prima della malattia e tanto meno dopo essermi ammalata. Guardando il mare ho pensato che forse funziona un po’ cosi. La vita ti gioca dei brutti scherzi e a volte ti regala delle belle sorprese. Non ci resta che provare a rialzarci ogni volta.

Un giorno ero seduta al bar dell’Ospedale di Candiolo, ero già stata operata, avevo affrontato tutti gli esami peggiori e mi avevano appena illustrato la terapia con interferone. Ero molto scoraggiata, sapevo che sarebbe stata dura e temevo che il periodo di cure sarebbe stato troppo lungo per riuscire a portarlo a termine. Mi lamentai con mio fratello e con Carlo:

– Ma cosa stai dicendo Carla? Ma cosa sono due anni di cure contro una vita ancora possibile.

– Sì, però …

– Però niente. Non capisci … guarda le cose in prospettiva.

– Hai una possibilità, è una gran fortuna.

La prospettiva. Non riuscivo a mettere nulla in prospettiva. E una possibilità. Neppure quella riuscivo a comprendere bene.

Sul podio ho capito quanto avessero ragione Luca, mio fratello, e Carlo. Quanto ero stata fortunata.

Napoli mi ha strizzato l’occhio. Mi ha regalato quella possibilità. Ha compiuto una magia. E io non lo dimenticherò mai.