preferisco correre


Di sorrisi e di pianti

Sulla maratona si è già detto tutto. E io non so più cosa aggiungere.

– Non sono sicura di volerla correre questa maratona. Provo ad allenarmi ancora qualche settimana e poi decido. Vediamo come va il gluteo, se riesco a mettermi a posto. Vediamo come va la preparazione.

– Mi spiace pensavo di averti fatto un regalo ma se ti pesa fermati. Non devi dimostrare nulla a nessuno.

– Hai ragione Carlo, però mi scoccia non riuscire a arrivarci, è per tutti una bella esperienza. E tu anche mi hai convinta che sarà così.

Da qualche settimana sono iniziati gli allenamenti lunghi. E io fatico.

Mi sento intrappolata tra i chilometri già fatti e quelli ancora da fare. Ho male alle gambe, mi sento stanca. Questa storia mi agita.

Lunghi per i chilometri corsi in una sola volta e lunghi per il tempo impiegato: lunghi. Bisogna farli i lunghi, così mi hanno detto. Io credo di non averli amati da subito.

Ma i lunghi servono. E questa maratona me lo ha insegnato. È stato tutto facile grazie a loro e io me la sono veramente goduta. Non ho avuto male e ho corso bene.

La mia prima maratona è stata semplicemente bellissima.

Bellissima perché è stata una corsa con un livello bassissimo di stress. Abituata alle corse brevi dove sin dalla partenza senti la tensione della competizione, davanti al Duomo di Firenze io ho sentito solo il fascino di far parte di un rito collettivo.

Una grande euforia. Lì con tutte quelle persone non ho più pensato ai 42 chilometri che mi aspettavano ma ho solo pensato che tutto mi sembrava molto divertente e piuttosto esaltante. Mi sono sentita quasi in un set cinematografico.

In griglia ho incontrato un atleta pinerolese come me, abbiamo aspettato allegri e scherzato fino allo sparo. Io, lui e un ragazzo spagnolo. L’attesa è stata divertente. Poi il via. Ci siamo allineati per correre insieme e abbiamo trovato la nostra andatura. Dal ventesimo sono rimasta da sola, i miei compagni di avventura hanno cambiato passo e io ho deciso di non modificare il mio ritmo. Ho mantenuto una strana tranquillità, mi sono goduta l’ansia di non dover battagliare con altre avversarie, la serenità di non sentire il cuore in gola, tutte sensazioni nuove per me. Mi sono sentita stranamente bene.

Ho scoperto così che correre con un ritmo costante non è poi così male, che non pensare a nulla e godersela è ancora meglio, che il tifo del pubblico che urla per te anche se non ti conosce è una cosa che dà una gioia immensa e che quello degli amici ti commuove. E che correre circondati dalla bellezza non può che darti euforia.

Durante la mia prima maratona mi sono commossa un sacco di volte. Mi sono commossa a sentire gli amici con la voce roca tanto è stato forte il loro tifo, mi sono commossa sentendo il coro gospel accanto all’installazione dedicata a Mandela, mi sono commossa correndo sul Ponte Vecchio animato da un calore umano da far venire i brividi, mi sono commossa quando ho letto km 40. Mi sono commossa quando ho superato il traguardo. Oltre il traguardo ho alzato lo sguardo e ho visto il sorriso di mamma:

– grazie mamma! Si, lo so, stai scuotendo la testa, ma stai anche ridendo. Hai ragione, siamo tutti un po’ matti … ma non è stato divertente?

Leggo sul tabellone 2:56:20. Sorrido.

“Avanti con il sorriso” è stato l’ultimo consiglio ricevuto la sera prima. E io credo di esserci riuscita.

Forse la maratona ha a che fare con un rito catartico o qualcosa di simile, guardandomi attorno scopro che siamo molti a piangere, ma anche molti a ridere.

Poi arriva Carlo e ricomincio a piangere.

Di sorrisi e di pianti. Così è stata la mia prima maratona.


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Non c’è fretta

IMG_0609Sono sempre arrivata tardi sulle cose, anche questa volta per parlare della AppleRun. Una delle gare a cui sono più affezionata.

– perché non ti iscrivi all’AppleRun? Magari scopri che ti piace gareggiare.

– Luca, ma lì ci sono atleti seri. Che ne so, io corro per staccarmi dalle mie preoccupazioni, corro con te per fare qualcosa insieme, per chiederti consigli, sinceramente non ci ho mai pensato. Poi non sono neppure tesserata.

– beh, per quello ci metti un attimo. Potrebbe essere una cosa bella, guarda che non vai piano quando corri con me, parli tutto il tempo! Se vuoi scarico qualche allenamento su internet e poi quel giorno ti porto io. Smettila solo di vestirti con le tute dismesse… comprati qualcosa di tecnico.

Luca, mio fratello, è così. La sua mente scientifica è spesso silenziosa, talvolta scontrosa, ma poi a un certo punto trova la soluzione e da quel momento in modo pragmatico va avanti. Luca è il Fratello maggiore.

Dopo qualche settimana, mi convinsi che potevo provarci. Potevo provare a correre l’AppleRun. Avevo già gareggiato nel 2008, alla Vivicittà di Torino, ma fu una prova generale alla corsa, di cui conservo un meraviglioso ricordo, perché in compagnia dei miei genitori, perché all’arrivo mi aspettava mia mamma. Fu una bella idea di mio padre, ma poi non feci più altre corse.

La AppleRun segnò un inizio.

Luca aveva trovato una soluzione: quel periodo non era per me un gran periodo. Certo, non avevo ancora scoperto di essere malata, ma le mie giornate non erano affatto serene. Molto impegnata sul lavoro, avevo pochissimo tempo libero e non riuscivo a dare un ritmo alla mia vita che non fosse un ritmo pesante. Poca socialità, poco tempo libero, poche cose divertenti, tante delusioni, tanto stress. Molta fatica.

La corsa della domenica mattina con Luca era una degli appuntamenti che preferivo. Mi facevo raccontare dei nipoti, scoprivo strade della collina a me sconosciute e tornavo a casa sempre di buon umore. Luca mi prendeva in giro per gli innumerevoli strati di maglie che indossavo per coprirmi dal freddo. Ho impiegato anni per togliermi qualche maglia e uscire a correre.

Arrivò novembre e il giorno della corsa. Era sabato. Pioveva. Pioveva tanto.

– ciao Luca, sono io. Direi che non andiamo.

– perché? per la pioggia? preparati, passo a prenderti.

Ci trovammo a Cavour in una giornata tremenda, di pioggia e freddo.

Ero terrorizzata, Luca mi aiutò a mettere il pettorale, a organizzarmi per la partenza, poi entrambi ci guardammo intorno. Ci parve di vedere solo atlete esperte, tutte avevano il cappellino con la visiera e io non ci avevo pensato, accanto a me una ragazza esilissima e con un completo super tecnico mi sorrise e mi aiutò a infilare il chip nella scarpa. La ragazza era una delle favorite e fu gentilissima.

Luca cercava di trasmettermi tranquillità ma forse anche lui si stava chiedendo se non avesse avuto una pessima idea a suggerirmi quella gara.

No, fu una grande idea! Un’idea che segnò un’inizio.

La gara non andò male. Luca rimase fermo sul percorso con l’ombrello aperto. E mi tifò.

Tornammo a casa tutti bagnati, ma quel giorno fui grata a mio fratello. Aveva fatto qualcosa di importante per me. Mi spronò e mi fu accanto come in seguito in tante altre occasioni.

– Brava, ciao. Buon riposo.

Luca è così.

Da quell’anno penso di aver saltato l’appuntamento con l’AppleRun solo una volta, quel novembre in cui mi operarono per il secondo tumore, ma gli altri anni con terapie in corso corsi sempre. Da quella prima esperienza scelsi di continuare a correre, mi ammalai una prima volta e poi una seconda, nel frattempo mi trasferii a Torino, mi iscrissi a una società sportiva e nonostante tutto, cercai di correre tutte le volte che riuscivo. Luca c’entrò ancora molto in tutte queste altre prove.

Quest’anno, finalmente fuori terapie, la AppleRun mi è sembrata ancora più bella. Gara organizzata in modo impeccabile, con un livello molto alto, un’atmosfera stimolante. Ho corso con piacere. Ho corso bene, ho corso forte. E ho concluso con un risultato inaspettato. Ho portato il cappellino con la visiera, ma non è piovuto.

– Luca, stiamo arrivando. È andata benissimo. Porto frittelle di mele, cartocci di mele e mele a volontà.

– brava. Ciao. A dopo.

Si parte e si riparte sempre da un punto. Non c’è fretta.