
© gabriella rastello
Domenica si è tenuta la prima tappa della Maratona Reale 2019 che ha coinciso anche con la diciassettesima edizione della storica “TuttaDritta”. E così ho corso.
È stata una gara difficile, in realtà non dovrebbe esserlo di per sé, ma domenica invece ho sofferto molto per colpa di un mal di stomaco che mi ha tolto il respiro, rallentato l’andatura e ha rovinato un po’ l’entusiasmo per una gara affascinante. Tutto normale, può succedere. Si soffre, si va avanti e si arriva al traguardo comunque.
Il tifo è stato fondamentale. So che gran parte delle forze recuperate negli ultimi chilometri sono tornate grazie all’incoraggiamento degli amici: ho sentito l’affetto, la bontà, la stima nelle loro voci. Non è cosa scontata nella vita, come nello sport. Non posso che ringraziare tutti: gli amici lungo il percorso ed Elena che ha urlato così forte da farmi alzare la testa e arrivare al traguardo più in fretta di quello che avrei immaginato.
Il tifo è davvero una cosa importante, è così bello riceverlo e donarlo che mi stupisco ancora di come in molte occasioni non si senta l’istinto di battere le mani, incoraggiare, dire qualcosa di gentile. A mio parere richiede più sforzo esimersi dal farlo.
È vero non siamo eroi, non siamo neppure così interessanti, non facciamo cose utili, ma attraverso lo sport portiamo avanti piccoli obiettivi di vita. Certo, non importanti come le cose davvero importanti, ma pur sempre costruiti sulla fatica, l’impegno, il rispetto delle regole, il confrontarsi, il mettersi in gioco. Ci sono i fanatici, per carità, ma c’è anche dell’altro. Credo sia più inebriante soffermarsi sull’altro.
Magari si insegue un piccolo sogno, si mette in atto una strategia per superare momenti difficili, si cerca di raggiungere maggiore serenità, si condividono momenti di semplice allegria. Perché non tifare questi sforzi? Non lo so, forse è proprio difficile essere solidali con gli altri, senza mettersi in una situazione di immediato confronto. Eppure incoraggiare è un gesto così efficace, lo è nella corsa e lo è altrettanto nella vita.
A Cannes, durante la gara internazionale di triathlon, ho seguito con grandissima empatia le imprese dei partecipanti. Certo, la mia attenzione si è concentrata sulla gara di Carlo, e anche quella di Claudio e di Antonio, ma veder passare così tanti atleti impegnati seriamente a portare a termine una competizione così impegnativa spesso mi ha commosso. Molti erano professionisti, ma altrettanti erano lì neppure sicuri di finire la gara. Il tifo era per tutti ed era tanto.
A volte basta semplicemente lasciarsi andare per un attimo e far parte del gioco. Da sostenitore o da giocatore, non importa. Non dover sempre scegliere un club, difendere una posizione, anche quando non porta a nulla se non a rafforzare l’immagine di noi stessi, e solo quella. Non fidarsi di novità che potrebbero sorprenderci per qualche minuto, portarci un po’ di di leggerezza e di immaginazione.
Tifare per me è un gesto simpatico. A Cannes, anziani e bambini per qualche ora si sono divertiti a incoraggiare chi stava gareggiando, gli anziani interrotti nella loro passeggiata probabilmente hanno pensato di incontrare dei pazzi ancora poco consapevoli della vita. Osservavano la gara con il sorriso di chi la sa lunga e forse anche con un po’ di malinconia. I bambini scatenati nel loro tifo, sostenevano papà, mamme, amici, fratelli e anche atleti che non conoscevano. Chissà quali storie sono passate nelle loro teste! Quanta immaginazione!
Ricordo il tifo di ogni mia gara, dalle gare organizzate dalla mia squadra dove si trasforma in un unico abbraccio, ai cross dove il tifo non manca mai ed è di tutti e per tutti, ricordo il tifo della mia prima maratona dove Domenico, Gabry, Elena, Gina, Andrea e forse altri che dimentico mi hanno dato fiducia, quello dei maratonabili, quello dei volontari lungo i percorsi. Poi ci sono anche quelli a distanza, che valgono comunque. Di alcuni dei quali non potrei fare a meno.
Domenica ho incontrato un amico che non vedevo da anni, la cosa curiosa è che quando ci si vedeva molti anni fa di solito eravamo in un fumoso pub o in qualche locale, magari anche in tarda serata. Ci siamo incontrati tutti sudati dopo la gara, entrambi con un pettorale sulla maglia e con i calzoncini corti, non ci siamo detti nulla delle nostre prestazioni, ma ci siamo messi a ridere. Vederci così ci ha fatto ridere. Che bello! Ci siamo detti abbracciandoci.
Tifare non è da sfigati. È simpatico.
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